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Il furgone dei gabbiani
Era il Giugno 1979 ed io ero al mare con la mia nonna nella solita località ligure.
Da qualche anno avevo fatto amicizia con un pescatore del posto. Era un marinaio perfetto: capelli bianchi come la spuma del mare, barba lunga e brizzolata, pelle sempre ambrata e segnata con spessi solchi sulla fronte e attorno agli occhi, dove immaginavo granelli di sabbia e sale fermi ad aspettare il bagno della sera. Indossava sempre una maglietta bianca e un paio di pantaloni morbidi in tela azzurra.
Ogni mattina arrivava in spiaggia con un furgone 850 di colore verde pistacchio.
Questo mezzo era molto affascinante ai miei occhi di bambina!
Come il pescatore, anche lui aveva ben visibili i segni del tempo. Il sedile posteriore aveva un grosso buco dove spesso si trovava un gabbiano dormire. Entrava dai finestrini che lasciava sempre abbassati per far girare l’aria, forse attratto dal forte odore di pesce provenire dall’interno.
Anche i fanali frontali erano anomali…non c’erano! E lui non si era mai preoccupato di tappare il buco con delle luci nuove.
Il suo nome era Pierin, detto il Bacàn. Lì era una sorta di capo, il padrone. Era un tipo poco loquace, un po’ burbero a volte, ma alla mia insaziabile curiosità non diceva mai di no.
Amava raccontarmi le sue avventure in barca, svelarmi i segreti del suo mestiere e vantarsi dei pesci più grandi che fu mai riuscito a pescare. Amavo ascoltarlo, le sue parole erano per me sempre un grosso insegnamento.
Sulla spiaggia dei pescatori, fra resti, remi e barche, vi erano tanti sassi stupendi, dove il continuo movimento dell’onda aveva dato forma a piccoli capolavori.
Sassi rosa, bianchi, grigi, a righe bianche e a righe nere, con forme a cuore o a uovo, grandi e piccini: i miei occhi erano pieni di meraviglia e la voglia di raccoglierli…irresistibile!
Il mio secchiello azzurro era sempre colmo di preziosi amuleti che puntualmente nonna, al suo arrivo, mi faceva rigettare in mare. “Dove li metti? Fanno disordine” così mi diceva.
Ci fu un giorno che il mio raccolto fu così soddisfacente, che il pensiero di separarmene mi tormentava.
In attimo d’inventiva, che mai mi mancava, trovai un nascondiglio speciale: presi la carta della focaccia dal cestino della merenda e tra un morso e l’altro, ci accartocciai tutti i miei sassi in piccoli pacchetti.
Ne misi uno per fanale, uno nel buco nel sedile e un altro sotto il tappetino.
Ero certa che Pierin, anche senza spiegazioni non li avrebbe mai buttati.
Grazie Pierin. Non te l’ho dissi mai.
Gio